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Una gemma nascosta nella galleria Borghese

Conoscete la Galleria Borghese? Quel gioiello che si trova immerso nell’omonima Villa a due passi dal centro storico? No? E allora bisogna recuperare, non appena i tour saranno di nuovo consentiti. Sono stata abbastanza fortunata da condurre un paio di visite prima della quarantena; devo dire che ogni volta che ci vado mi sento rigenerata. Sarà il fatto che non è mai troppo affollata, sarà la qualità e la quantità delle opere esposte… già, la quantità. Centinaia e centinaia di opere che devi coprire in sole due ore scarse di tempo. Selezionare diventa quindi imprescindibile.

Per questo voglio cogliere l’occasione che mi offre questo blog di parlarvi di una delle mie opere preferite. State forse pensando ad un Bernini, o magari ad un Caravaggio, forse a Tiziano. Certamente loro sono il traino della collezione; ma ad un occhio attento non possono sfuggire altre gemme preziose.

Per esempio il Ritratto di Gentiluomo (circa 1535) di Lorenzo Lotto. Parliamo di uno dei più talentuosi artisti di area veneta, quello che molti storici dell’arte elogiano per la sua capacità di introspezione psicologica. Sarò sincera, non sono una grande appassionata di ritratti, ma questo mi affascina particolarmente.

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La figura imponente di Mercurio Bua, posa accanto ad un tavolo, completamente vestito di nero. Lo sfondo, di poco più chiaro dell’abito dell’uomo è interrotto da una finestra aperta su un paesaggio dai toni chiari e vivaci. Vi si riconoscono una città fortificata (forse Treviso) ed in basso a sinistra un San Giorgio a cavallo che uccide il drago. Certamente un riferimento alla carriera militare del protagonista della tela.

Molti sono i dettagli su cui mi piace indugiare. Le due fedi nuziali portate sul mignolo sinistro: è un’usanza che conosco bene, perché ancora diffusa nella mia famiglia. La mano sinistra si appoggia sulla milza, dove, secondo le antiche credenze della medicina, risiederebbe l’umore melancolico. La mano destra poggia su un tavolo e sembra accarezzare petali di rosa e gelsomino, entrambi simboli d’amore. Ma ecco il dettaglio inquietante che non ti aspetti: tra i graziosi petali spunta un piccolo teschio.

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Tutti questi elementi, uniti all’espressione sofferente dell’uomo (sguardo vitreo, bocca semisocchiusa), ci parlano di un lutto: la perdita della moglie, Caterina Boccali, nel 1524.

Già ma chi era costui? Maurizio Bua (che cambierà poi il nome in Mercurio una volta traseritosi a Venezia) discendeva da una nobile famiglia albanese. Egli intraprese una brillante carriera militare che lo vide trionfare in moltissimi conflitti; del resto, nel periodo in cui visse, il 1500, le guerre non mancavano di certo! Le informazioni sono state tramandate da un suo discendente, il quale avrà probabilmente glissato sugli atti più efferati verso i suoi nemici, quali stragi e decapitazioni.

Ma torniamo a noi e alla nostra storia d’amore. Quando Mercurio sposa Caterina, figlia di un capitano di Ventura, Niccolò Boccali siamo intorno al 1516, all’apice della sua carriera militare. Purtroppo il matrimonio non durerà molto, perché ella morirà in circostanze ignote nel 1524.

Ed ecco che un paio di domande si fanno strada nella mia mente. Il ritratto dovrebbe datarsi al 1535, per via di analogie stilistiche; tuttavia sappiamo che Mercurio si riconsolerà l’anno successivo alla morte di Caterina, 1525, sposando Elisabetta Balbi, da cui avrà 4 figli. Dunque perché aspettare tanto per farsi ritrarre in stato vedovile? Forse perché il primo amore non si scorda mai? Forse perché l’uomo ritratto non è Mercurio Bua ma qualcuno di nome Giorgio, come si evincerebbe dall’omonimo santo presente sullo sfondo? Infatti all’epoca era costume farsi ritrarre con il proprio santo omonimo.

Le domande al momento restano senza risposta. Di inequivocabile c’è soltanto la dovizia di dettagli e quell’espressione così viva e sofferente. Mi fa davvero pensare al vero amore che trionfa sulla morte.

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